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Implantologia

L’Implantologia è quella branca dell’odontoiatria che si prefigge di sostituire gli elementi dentari, persi o mancanti, tramite l’inserzione di impianti all’interno dell’osso (gli impianti sovraossei o sottoperiostei non vengono utilizzati all’interno dello studio).

Ad oggi l’implantologia dispone di strumenti ed oggetti sicuramente affidabili e collaudati: la disciplina è da molto tempo uscita dalla fase propriamente sperimentale, e si può ormai ragionevolmente affermare che gli impianti endossei, come surrogati della dentatura naturale, sono capaci di svolgere la loro funzione per un consistente numero di anni.

In implantologia non è corretto parlare di “rigetto”, l’impianto non è un organo e non presenta antigeni per cui non genera nessuna reazione immunologia o anticorpale.

L’impianto può essere perso per altri motivi: per esempio un surriscaldamento dell’osso durante la sua inserzione, un sovraccarico occlusale soprattutto se immediatamente successivo all’inserimento dell’impianto, una scarsa igiene orale così come avviene per un dente naturale.

Gli impianti sono costituiti da Titanio, materiale biocompatibile, con superfici più o meno ruvide o trattate per indurre la formazione di osso intorno all’impianto (processo di oesteointegrazione).

Quando viene perso un elemento dentario andrebbe subito approntata la sua sostituzione attraverso un impianto osteointegrato per ridurre la perdita dell’osso alveolare che è in stretta dipendenza con la presenza del dente.

Gli impianti endossei sono delle viti cave in titanio dalla forma e dimensione diversa in dipendenza del tipo di utilizzo per cui vengono creati e in dipendenza dalle case che li producono. Queste viti cave vengono denominate “fixture” e hanno una specifica componentistica che ne consente la protesizzazione, ovvero la costruzione al di sopra di esse, del dente vero e proprio.

Gli impianti usati dal nostro Studio sono della 3i Implant Innovation, una delle aziende, ormai da anni, leader del settore.

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Come sempre il Paziente che desidera sottoporsi ad una terapia deve effettuare una visita accurata, in cui verranno eseguite della radiografie e spesso anche la rilevazione di impronte per dei modelli studio. E’ necessario stabilire se ci sono i requisiti per poter essere sottoposti ad una terapia implantare.

Si deve progettare prima il dente e la posizione che l’impianto dovrà sostenere dopodiché si deve misurare l’altezza e lo spessore dell’osso in quella zona per poter programmare il tipo e le dimensioni dell’impianto. Quella che pratichiamo può essere definita “implantologia protesicamente guidata”.

L’impianto non viene inserito dove semplicemente c’è maggior disponibilità di osso, ma viene inserito nella posizione più corretta per la costruzione del dente e per la resistenza ai carichi masticatori. Casomai, se necessario, è l’osso a venir modificato tramite innesti e rigenerazione.

Sui modelli studio viene eseguita una mascherina che, con del materiale di contrasto identifica in radiografia l’esatta posizione dell’impianto. Questa mascherina ha la duplice funzione diagnostica di identificare il sito da implantare e da fare da guida durante l’intervento chirurgico.

L’intervento chirurgico d’inserzione di impianti è un intervento normalmente eseguito in anestesia locale, l’accorgimento principale è l’asepsi ovvero la massima sterilità possibile della sala, dello strumentario ed anche, per quel che possibile, del campo operatorio, ovvero del cavo orale.

Il paziente che desidera sottoporsi ad impianti dovrà innanzi tutto migliorare notevolmente le proprie abitudini di igiene orale, nel caso queste siano insufficienti.

Per sottoporsi ad un intervento implantologico il Paziente dovrà semplicemente aver concluso la fase di crescita (18 anni) godere di buona salute generale, avere una normale velocità di coagulazione del sangue, non presentare grossi problemi di tipo cardiaco, renale e infettivo.

Per evidenziare l’eventuale presenza di questi problemi sarà utile che il paziente compili con la massima accuratezza ed attenzione la cartella anamnestica che gli viene consegnata e risponda con la massima precisione alle domande che in essa gli vengono poste.

Il Paziente prima dell’intervento deve effettuare una fase preparatoria:

-24 ore prima deve effettuare dei lavaggi con un collutorio a base di Clorexidina dopo ogni pasto

-1 ora prima dell’intervento viene chiesto di assumere un antibiotico, che dovrà continuare per alcuni giorni dopo l’intervento.

L’intervento, dopo l’esecuzione della anestesia locale e l’attesa del suo effetto (in media 20 minuti) comincia con l’esecuzione di un lembo e l’esposizione dell’osso. Si esegue un primo fresaggio pilota nell’esatta posizione determinata dalla mascherina e con una radiografia si verifica la correttezza dell’inclinazione, della posizione e i rapporti con le strutture anatomiche contigue (seni mascellari, nervo alveolare, etc.) dopodiché si provvede a carotare l’osso per creare l’alloggio vero  proprio dell’impianto, in termini di ampiezza e altezza. Viene fresato lentamente con abbondante irrigazione, un surriscaldamento dell’osso potrebbe compromettere  l’osteointegrazione dell’impianto.

A questo punto l’impianto viene avvitato all’interno del tunnel creato e ricoperto completamente dai tessuti molli che vengono riposizionati con alcuni punti di sutura.

I punti di sutura vengono rimossi normalmente dopo una settimana. Al Paziente viene rilasciato “un passaporto” che attesta la marca degli impianti, il codice identificativo con la dimensione (lunghezza e diametro) dell’impianto, utile nel caso di trasferimenti o re-interventi.

Normalmente il decorso post operatorio non è doloroso, viene però prescritto di prassi un antidolorifico con azione antinfiammatoria per aiutare la guarigione soprattutto nei casi di successivo gonfiore.

L’impianto viene lasciato completamente coperto per un tempo che varia dai 3 mesi per l’arcata mandibolare ai 6 mesi per l’arcata mascellare. Questo tempo consente una più sicura osteointegrazione al riparo da stimoli esterni.

Passato il tempo di osteointegrazione si esegue un secondo piccolo intervento per scoprire l’impianto, si avvita su di esso un “pilastro di guarigione” ovvero una vite che aiuta la gengiva a guarire e prepara all’alloggiamento della componente protesica.

Dopo un paio di settimane circa è possibile rilevare l’impronta dell’impianto e su di essa confezionare o la corona provvisoria, se la situazione lo richiede, o direttamente la corona definitiva.

Esistono sostanzialmente due possibilità per protesizzare in modo fisso gli impianti.

-All’impianto si avvita direttamente la corona (protesi avvitata) soluzione che fornisce una buona versatilità in termini di re-intervento, poiché attraverso un foro nella corona è possibile svitare, riavvitare o sostituire la vite senza rovinare la corona. Il foro viene chiuso con del materiale composito che si mimetizza nella corona.

-All’impianto si avvita un moncone su cui si cementa una corona in modo analogo alla protesi fissa sui denti naturali. Questa soluzione fornisce la massima estetica ed integrità del manufatto protesico che risulta più omogeneo e meno soggetto a fratture, però rende più difficile il re-intervento. In caso di svitamento della vite che ancora il moncone in manufatto diventa mobile, ma scementare la corona per riavvitare la vite può indurre fratture o compromissione della corona.

La vite che ancora la corona (o il moncone) all’impianto è l’anello debole della catena. La tecnologia oggi ci fornisce di particolari viti d’oro che serrate ad una forza di 32 Newton si distorcono e ne prevengono lo svitamento.

La mobilità di qualsiasi cosa deve comunque essere tempestivamente ed immediatamente segnalata al Dentista. Se l’intervento è immediato spesso la soluzione è rapida e priva di conseguenze, se invece si trascura, la mobilità si può ripercuotere sull’impianto stesso causandone la perdita ed in alcuni gravi casi pregiudicandone il re-intervento implantare.

L’impianto può essere protesizzato come dente singolo oppure essere il pilastro di una ricostruzione protesica più ampia come un ponte o addiritura una Toronto Bridge (protesi completa su impianti).

Gli impianti possono anche costituire l’ancoraggio per protesi rimovibili dal Paziente. Quando l’età, la scarsità ossea od i costi costringono ad un numero limitato di impianti diventa più semplice e conveniente la realizzazione di una protesi mobile completa che con particolari attacchi viene ancorata in bocca a degli impianti, per poi essere rimossa per le normali procedure di igiene e di riposo della mucosa, dal Paziente.

Ciò che protesicamente non eseguiamo sono le unioni tra denti e impianti. Unire un impianto ad un dente, nonostante esista della letteratura che lo sostiene, è biomeccanicamente scorretto.

Il dente presenta il legamento parodontale, una sorta di sistema ammortizzante che fa da unione tra dente e osso, un complicato sistema di fibre e propriocettori che comunicano all’individuo la sensazione di carico sul dente, che conferiscono al dente un certo grado di mobilità e compensazione.

Gli impianti non hanno legamento, non hanno ammortizzatori, sono rigidi all’interno dell’osso. L’unione tra dente e impianto ha quasi sempre come esito la scementazione del manufatto protesico, la compromissione del dente che se unito all’impianto ha quasi sempre la peggio, per non parlare delle fratture, delle infiltrazioni e delle recidive cariose al di sotto dei manufatti protesici.

Non è pensabile che gli impianti vengano usati per consolidare denti mobili o compromessi.

Se necessario preferiamo l’inserzione di più impianti, ma lasciamo che protesicamente vengano uniti solo impianti con impianti e denti con denti.

Le possibilità di durata degli impianti sono in qualche misura dipendenti dalla qualità meccanica dell’osso che li accoglie: un osso duro e compatto come quello della mandibola è più favorevole di un osso morbido e trabecolato come quello del mascellare superiore.

La prognosi di durata è quindi in larga misura condizionata dalla qualità e durezza dell’osso d’accoglimento. Oltre a questo fatto dobbiamo considerare la quantità di sollecitazioni funzionali ed il carico che andranno a gravare direttamente sugli impianti, e di riflesso sull’osso sottostante; infatti la potenza muscolare e le sollecitazioni meccaniche che vengono trasmesse agli impianti possono ampiamente variare da soggetto a soggetto.

E’ per questo importante che la masticazione sia il più possibile completa ed equilibrata, se i carichi masticatori sono concentrati su pochi denti o su pochi impianti si può andare incontro alla frattura delle componenti protesiche (corone, viti e monconi) o addirittura dell’impianto.

Gli elementi che possono accorciare la vita degli impianti sono soprattutto:

a) la scarsa igiene orale (necessità di spazzolare e massaggiare scrupolosamente denti e gengive come da istruzioni del dentista);

b) il carico funzionale; va precisato che il carico stesso, ancorché adeguato al termine della riabilitazione, può in seguito modificarsi; ad es. per altri lavori protesici od anche per semplici otturazioni sui denti antagonisti, che vadano a produrre contatti più traumatici sugli impianti, ma anche per estrazioni dentarie o costruzioni protesiche in altra parte della bocca, che diano meno sostegno alle arcate in altri settori, costringendo il settore impiantato ad un superlavoro funzionale.

E’ obbligatorio che il paziente impiantato si sottoponga a controllo periodico di questi parametri, specialmente se con il passare del tempo sono stati eseguiti altri lavori di otturazioni, estrazioni o protesi, anche in altri settori della bocca: i controlli dovranno essere fatti in media ogni 8/12 mesi.